Nell’era del digitale, parlare di data-driven è diventato quasi un imperativo categorico, ma cosa vuol dire per davvero, essere un’azienda data-driven? A questa fondamentale domanda è possibile rispondere in molti modi, anche perché i contesti in cui ci si approccia al data-driven sono decisamente vari e spaziano dal marketing all’innovazione di prodotto, giusto per citare due ambiti in cui “essere guidati dai dati” può fare davvero la differenza nella direzione di una strategia aziendale di successo.
Occorre quindi identificare con certezza i contenuti e i valori di una cultura aziendale basata su logiche data driven, per capire come sia effettivamente possibile implementarle nell’organizzazione senza correre il rischio di lasciarsi trascinare dai trend e dalle mode del momento.
Oggi le aziende che hanno scelto di trasformarsi digitalmente hanno accesso ad una grande varietà e quantità di dati. Dai cosiddetti big data, intesi nella loro primordiale fase di risorsa informativa grezza, occorre estrarre valore attraverso le attività di business intelligence e business analytics. Soltanto in questo modo sarà possibile avere notizie e previsioni informate per supportare decisioni migliori nei vari ambiti di business.
Essere data-driven comporta quindi una ristrutturazione rispetto ai modelli informativi tradizionali, che si traduce nell’esigenza di ripensare la maggior parte dei processi in un’ottica orientata al dato. In questo contesto vedremo cosa vuol dire essere data-driven e soprattutto come diventare data-driven.
Cosa significa essere data driven?
Le organizzazioni data-driven si definiscono tali per via della capacità di conferire alla gestione dei dati (data management) un ruolo che va oltre il fatto puramente tecnico, elevandola ad un autentico pillar strategico per il business. In altri termini, essere data-driven vuol dire adottare nei processi aziendali un approccio basato sui dati, al punto da saperli analizzare con l’obiettivo di prendere decisioni realmente informate, in quanto basate su fatti oggettivi.
Per essere un’azienda data-driven, l’organizzazione deve attuare un percorso di trasformazione metodologico e tecnologico, non prima di aver affrontato un momento di change management, utile a portare la cultura del dato a tutti i livelli aziendali, dagli operativi presso le singole linee di business ai quadri dirigenziali.
Se le operations hanno bisogno di dati disponibili in maniera corretta ed efficace a supportare un lavoro in produzione di qualità elevata, i decisori aziendali necessitano di informazioni che derivano molto spesso dagli stessi dati, pur analizzati e rappresentati in forma differente, con la finalità di supportare in maniera consapevole quelle scelte da cui derivano le sorti del business.
Analizzare il passato per prendere decisioni basate sull’esperienza individuale non è più sufficiente. Oggi i dati devono saper parlare una nuova lingua, orientata alla previsione degli eventi futuri grazie alle capacità analitiche delle tecniche di intelligenza artificiale e di machine learning, sempre più integrate nei principali sistemi aziendali, laddove i dati risiedono a tutti gli effetti.
I vantaggi dell’approccio data driven
Per avere una percezione tangibile dei vantaggi che derivano da un approccio data-driven è necessario capire quali siano gli elementi che fanno realmente di un’azienda, un’azienda data-driven, al di là di semplici etichette. La tecnologia è infatti soltanto uno dei fattori in grado di incidere su una logica di processo guidata dai dati, così come lo è l’aspetto puramente culturale.
Un’azienda data-driven identifica i vantaggi di questo approccio attraverso una forte presa di consapevolezza dei seguenti fattori, implementandoli in maniera fattiva nei propri processi.
- – Considerare i dati quale un elemento fondamentale per tutti i processi aziendali, implementandoli in maniera fattiva nei sistemi utilizzati da tutti i dipendenti e dai quadri dirigenziali
- – Garantire un’elevata disponibilità dei dati per tutti gli stakeholder, in modo che possano svolgere le loro operazioni nel migliore dei modi
- – Definire un team composto da esperti dei dati e da una rappresentanza di tutti gli stakeholder tecnici e non tecnici, ai fini di coinvolgerli e renderli maggiormente consapevoli circa l’utilizzo dei dati nel contesto aziendale
- – Prevedere attività di supporto e formazione, per innescare una solida cultura del cambiamento e comprendere, in secondo luogo, quali vantaggi è possibile conseguire grazie all’analisi dei dati
- – Adottare soluzioni tecnologiche flessibili e scalabili in funzione delle possibili variazioni dei carichi di lavoro
- – Legare l’utilizzo dei dati agli obiettivi aziendali, anche nei termini di valutare le prestazioni e l’operato dei singoli dipendenti, oltre che delle relative linee di business.
Ancor prima di capire come tradurre in opera questi fondamentali elementi dell’approccio data-driven, una consapevole presa di coscienza di come questi sappiano realmente accompagnare la trasformazione digitale di un’organizzazione, equivale e comprendere in maniera fattiva i vantaggi che derivano dalla loro implementazione.
Diventare un’azienda data driven
Per accompagnare un’azienda nel proprio percorso di trasformazione digitale, supportato da una cultura effettivamente data-driven, sono stati sviluppati moltissimi framework, aventi peraltro moltissimi punti in comune. A titolo esemplificativo riprendiamo l’Analytics Skill Journey, sviluppato dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano.
Come la sua natura di framework lascia del resto presagire, il lavoro dell’Osservatorio si propone come una guida pratica per le aziende che intendono affrontare una trasformazione digitale con logiche data-driven, attraverso quattro semplici passaggi, ai fini di illustrare in maniera puntuale gli obiettivi intermedi da raggiungere per sviluppare un sentimento diffuso nei confronti degli analytics, identificato quale il momento in cui la ricchezza grezza del dato viene effettivamente trasformata in un valore aggiunto per il business.
Appare quindi naturale come le organizzazioni, a prescindere dai momenti strutturati della propria trasformazione digitale, debbano sperimentare molto, facendosi soprattutto supportare dall’esperienza e dal know-how di consulenti specializzati, dotati di un comprovabile portfolio in ambito professionale. In altri termini, specialisti dei dati e degli analytics capaci di operare ogni giorno al fianco delle aziende per accompagnarle nel loro percorso di trasformazione digitale attraverso progetti e iniziative concrete.
Secondo l’introduzione dell’Osservatorio, è importante che le aziende imparino a formare, in un momento intermedio, un team di data science capace sia dal punto di vista operativo che culturale, per diffondere nell’organizzazione quella che viene definita la data literacy, la “capacità di identificare, individuare, organizzare, utilizzare e comunicare le informazioni. In altre parole, con questo termine si intende l’alfabetizzazione ai dati, la capacità di interpretarli correttamente e di raccontare un fenomeno attraverso di essi, selezionando in maniera corretta le informazioni più rilevanti”.
Le quattro fasi previste dal Analytics Skill Journey si basano su nascita, sviluppo, crescita e maturazione dell’approccio data-driven nel contesto aziendale.
1. Data-driven si nasce: la fase della consapevolezza
Secondo l’Osservatorio, le organizzazioni entrano nel proprio processo di trasformazione digitale con un approccio tradizionale agli analytics, in cui viene prevalentemente svolta un’attività di business intelligence utile ad acquisire, modellare e rappresentare informazioni basate sul dato storico.
In questa sede è opportuno che alcune figure che svolgono un ruolo chiave nell’innovazione aziendale vengano fattivamente coinvolte, anche se non è ancora evidente la presenza di un vero e proprio team di data science. E’ il momento della sperimentazione, in cui le aziende iniziano a prendere fattivamente coscienza delle logiche data-driven grazie a progettualità che prevedono l’impiego degli advanced analytics.
In questa fase, un ruolo di facilitatore è spesso assunto da consulenti esterni, che affiancano le competenze interne per iniziare a studiare la fattibilità di progetti più complessi rispetto a quelli tradizionalmente svolti, per porre solide basi culturali a supporto del cambiamento.
Un consulente capace di generare valore aggiunto deve pertanto saper selezionare progetti “quick-win” in grado di risolversi in tempi brevi e dimostrare in maniera tangibile i vantaggi derivanti dall’approccio data-driven. Grazie a questa concretezza, i decisori aziendali saranno più propensi ad investire in questa direzione, soprattutto considerando la scarsa, se non nulla, esperienza pregressa in questo ambito.
2. Data-driven si diventa: sviluppare il team di data science
Il secondo momento previsto dal framework Analytics Skill Journey vede l’azienda impegnata con la nascita del proprio team di data science, che coincide con la formazione di un “core team” in grado di “internalizzare la gestione di nuove progettualità”.
Per tali ragioni è opportuno evitare la dispersione delle risorse umane, organizzando un solo gruppo in cui conferiscono i data scientist e di data engineer attivi presso l’organizzazione. La formazione del team passa attraverso la condivisione di esperienze finalizzata a “sviluppare un linguaggio comune e agevolare la nascita di best practices da esportare in tutta l’organizzazione”.
Il team di data science deve costantemente dialogare con tutti gli stakeholder aziendali, in modo da risultare rappresentativo nei confronti del business. Le figure tecniche, almeno per quanto concerne i ruoli senior, devono pertanto possedere quelle soft skill utili a sapersi relazione con successo con le figure non tecniche e decisionali dell’organizzazione.
Per facilitare la condivisione della cultura data-driven è opportuno che il team di data science preveda attività di formazione per gli stakeholder, contestualmente utili per sensibilizzare e formare in merito all’impiego di nuovi strumenti e metodologie di lavoro, per evitare che i dipendenti utilizzino nuove tecnologie lavorando “alla vecchie maniera”, un’eventualità che vanificherebbe tutti gli sforzi in atto.
Anche in questo caso si prevede il supporto esterno di consulenti esperti, e in generale risultano utili i workshop interni, finalizzati ad applicare puntualmente dei concetti che, se affrontati in maniera esclusivamente teorica, rischiano sia di risultare troppo astratti, sia di non generare i vantaggi operativi che derivano da una consapevole progettualità.
Occorre quindi partire da progetti semplici ed evolvere gradualmente verso situazioni più complesse, in cui rientra a pieno titolo la multidisciplinarità del business moderno. Il team di data science deve saper quindi tradurre la sperimentazione iniziale in progettualità via via sempre più concrete e spendibili a supporto del business aziendale, integrando tutte le competenze necessarie affinchè ciò avvenga.
3. Data-driven si cresce: coinvolgere tutta l’organizzazione
Il terzo step previsto dal framework Analytics Skill Journey prevede il consolidamento di quanto intrapreso nella seconda fase, attraverso il coinvolgimento di un numero superiore di stakeholder. L’obiettivo dichiarato è quello di rendere l’intera azienda un’azienda data-driven. Secondo l’Osservatorio, tale momento può essere facilitato da una figura professionale dotata di un ruolo specifico: l’analytics translator.
L’analytics translator è una figura che opera in posizione intermedia tra il team di data science e le linee di business, a cui va attribuita la responsabilità di prioritizzare i progetti, accelerando la comprensione degli insight. L’analytics translator: “Ha una visione chiara del dominio aziendale (business, processi, settore), conosce il linguaggio degli Analytics (modelli statistici e linguaggi di programmazione) e dispone di spiccate doti di project management”.
4. Data-driven si matura: bilanciare ruoli e risorse
Il framework Analytics Skill Journey si conclude con la fase di maturazione, il cui obiettivo diventa quello di: “Rendere pervasive le attività di data analytics e data science. L’azienda in questa fase ha raggiunto una buona maturità, dispone delle risorse adeguate e le deve bilanciare nella maniera corretta tra il core team e le linee di business”. Secondo l’Osservatorio, una è indispensabile una netta divisione dei compiti per evitare situazioni di conflitto di interesse: “Il nucleo centrale è responsabile della strategia di Data Science mentre le linee di business saranno impegnate a livello operativo. La giusta distribuzione di risorse permetterà di portare a termine progetti complessi, apportare migliorie su progetti già conclusi e soprattutto sviluppare un sistema di monitoraggio e misurazione dell’attività”.
Categoria: ANALYTICS

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